Il Mare Nostrum, pur rappresentando solo l’1% della superfice degli oceani, raccoglie il 19% del traffico mondiale di merci e il 65% delle risorse energetiche che giungono in Europa, come ha avuto modo di sottolineare Umberto Masucci, vicepresidente della Federazione del mare, in un articolo pubblicato su “La Stampa”.
I dati e le riflessioni condivise descrivono un comparto fondamentale per l’economia italiana, europea e non solo.
Tutte le attività marittime esercitate nel Mar Mediterraneo – senza considerare il turismo costiero – valgono 340 miliardi di euro e danno lavoro a 1,2 milioni di persone.
L’importanza di tali traffici non poteva lasciare indifferenti le istituzioni internazionali. Da un lato, infatti, la Commissione europea sta elaborando una ricerca volta a dare una definizione comune di “Blue Economy” per ottenere statistiche replicabili assicurando, quindi, un elevato standard di scelte politiche. La Nato, dall’altro, dedica a questo tema gli incontri Shade Med (Shared Awareness and De-Confliction in the Mediterranean) (l’ultimo si è tenuto a Napoli lo scorso novembre).
Dal versante italiano, negli ultimi vent’anni, il comparto marittimo, a dispetto della lunga crisi economica globale, è cresciuto del 60% e rappresenta uno dei settori più dinamici dell’economia tricolore assicurando globalmente la produzione di beni e servizi per un valore pari quasi a 33 miliardi di Euro e l’impiego di 471mila persone tra dipendenti diretti e indotto (pari al 2% della forza lavoro totale). Il Belpaese rappresenta il luogo di approdo per materie prime che, arrivando da altri continenti, vengono trasformati in prodotti semilavorati e finiti per poi essere venduti sui mercati europei e mondiali. Nel 2015 il valore degli scambi commerciali tra l’Italia e il Mediterraneo è stato pari a 66,5 miliardi di Euro (+ 64% rispetto al 2001) e, secondo le stime, nel 2018 tale valore raggiungerà la quota di 74,8 miliardi. La percentuale del traffico tra Italia e Mediterraneo via mare è addirittura pari al 76,2% e, nel corso del 1 ° semestre del 2016, l’Italia è stato il primo paese per import-export via mare con 23 miliardi di Euro, seguita dalla Germania con 22 miliardi.
L’attività marittima ha ripercussioni positive anche su altri settori dell’economia nazionale: ogni anno il cluster marittimo spende circa 20 miliardi di euro per acquisti di beni e servizi di cui 2 miliardi riguardano i settori della ristorazione e dell’industria alimentare.
La via verso l’Oriente acquista sempre più importanza per i traffici marittimi: nel corso del 2015 ben 823 milioni di tonnellate (pari al 10% del commercio marittimo mondiale) hanno attraversato Suez sia southbound con destinazione Asia (52%) sia, al contrario, dall’Asia in direzione Nord (54%). Dal 2001 i traffici tra Cina e l’area del Mediterraneo sono aumentati di 11 volte rispetto raggiungendo 257,4 miliardi di Euro.
Le navi portacontainer non potevano non adeguarsi ai nuovi scenari commerciali. A partire dal 1995 nei porti mediterranei i contenitori sono, infatti, aumentati del 422% raggiungendo, nel 2015, i 48 milioni di Teu e, secondo l’OCSE, il trend è destinato a proseguire: il traffico marittimo tra Oriente e Mediterraneo (Mar Nero incluso) più Europa passerà dagli odierni 114,6 a 173 milioni di Teu nel 2030 (+ 51%, 3% / anno), e infine a 308 mln di Teu nel 2050 (+ 78%, 4% / anno).
La flotta che batte bandiera italiana non deve avere complessi di inferiorità nei confronti degli altri competitor: con oltre 16,5 milioni di tonnellate di stazza lorda, è la terza tra quelle dei paesi del G20) ed è prima tra le flotte ro-ro con 250 unità e 5 milioni di GT.
Fonte: “Blue economy strategica” di Umberto Masucci su La Stampa